OGM: l’Europa dice sì. E l’Italia discute.

Mentre l’Europa autorizza gli Ogm e dà il via libera alla super patata “Amflora”e ad altre piante geneticamente modificate, lasciando però agli stati membri la decisione di coltivarli o meno, in Italia il dibattito infuria. Mentre il ministro della Salute Ferruccio Fazio dalla Conferenza ministeriale su Ambiente e Salute dichiara che “la cultura italiana è la stessa della logica degli agricoltori che va quindi in una direzione diversa da quella degli Ogm, orientata piuttosto a favorire le produzioni autoctone e naturali”, Amedeo Pietri dell’Istituto di Scienze degli alimenti e della nutrizione dell’Università di Piacenza ed esperto di sicurezza del mais e micotossine ribatte: “Non capisco però perchè vengano usati mangimi Ogm per alimentare gli animali” e continua: “In quel caso il problema sollevato da Fazio decade”.

Secondo Pietri quello degli Organismi geneticamente modificati “è diventato un problema di natura filosofica” che nulla ha a che vedere con la scienza. “Precludere gli organismi transgenici a priori vuol dire precludere uno strumento che in alcune situazioni può rivelarsi molto importante”, spiega. Basti pensare al mais. “Fino a cinque o sei anni fa l’Italia riusciva a coprire quasi completamente il proprio fabbisogno di mais. Oggi è costretta a importarne il 20-30 per cento”. Questo, secondo Pietri, “a causa di malattie o di produzioni di scarsa qualità. Tutti problemi che potrebbero essere attenuati con l’uso degli organismi geneticamente modificati”. E’ chiaro però, conclude il ricercatore, che “se si mette paura alla gente il problema diventa irrisolvibile e nessuno li vuole più”.

L’opinione di Chiara Tonelli, Università di Milano, genetista e membro del Consiglio della Fondazione Umberto Veronesi, è che “quella degli Ogm non è altro che una tecnica con cui è possibile migliorare le piante. Per cui non si può dire ne’ che è buona ne’ che è cattiva”. E spiega che entrambe le tipologie di organismi transgenici (sia i “Bt”, ovvero quelli che presentano una maggiore resistenza agli insetti, sia quelli resistenti agli erbicidi) favoriscono “colture più sostenibili dal punto di vista ambientale dato che permettono di ridurre l’uso della chimica“. Chimica vuol dire petrolio, ed evitare i prodotti chimici si traduce, alla fine dei conti, “anche in sostenibilità economica”. Anche perchè, se è vero che entro il 2050 la terra avrà nove miliardi di abitanti, secondo la ricercatrice “dobbiamo sfamare il numero più alto possibile di abitanti con il minore input chimico possibile. E’ questa la sfida dei prossimi anni”. I dati parlano chiaro: “In tutto il mondo da quando si usa cotone Bt si sono risparmiati 354 milioni di chili di pesticidi”, spiega ancora la ricercatrice. Senza considerare che, a causa dei molteplici controlli a cui sono sottoposti, “gli organismi transgenici rappresentano prodotti certamente di gran lunga superiori ai prodotti convenzionali per quanto riguarda la sicurezza”.

La questione tocca da vicino anche un grande prodotto italiano, il pomodoro San Marzano. “Quello che si può considerare il prodotto tipico per eccellenza – spiega – non può essere più coltivato in Campania per via di una virosi che ha distrutto le coltivazioni. Ora lo si coltiva solo in Puglia ma già si prevede che presto le colture si dovranno spostare in Romania”. Prodotto tipico italiano quindi costretto ad emigrare in Romania pur di sopravvivere. “Questo nonostante l’italiana Metaponto Agrobios abbia da anni messo a punto il pomodoro San Marzano resistente a quel tipo di virosi”.

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