Le piante mangia-metalli

Risanare i terreni inquinati da metalli pesanti coltivando particolari piante: è questa la nuova frontiera delle tecniche di riqualificazione ambientale. Studi recenti hanno dimostrato l’efficacia della fitodecontaminazione, mediante cui girasoli, mais e brassicacee (piante della famiglia dei cavoli) possono essere impiegate come sistemi di disinquinamento.

“Elevate concentrazioni di metalli in forma diffusa e parcellizzata quali polveri, microparticelle presenti nell’aria, nel suolo e nelle acque” – ha spiegato Franco Gambale, direttore dell’Istituto di biofisica (Ibf) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Genova – sul notiziario del Cnr – possono avere gravi conseguenze sulla salute umana e tra i metalli pesanti il piombo è l’elemento più diffuso. Le tecniche utilizzate fino a oggi, con elementi chimici, hanno limiti oggettivi sia per i costi di bonifica delle aree interessate, sia per gli effetti successivi al trattamento: perdita della fertilità e altre gravi alterazioni di natura chimica, fisica e biologica, tali che le aree inquinate rimangono inutilizzate per decine di anni”.

“La fitodecontaminazione, al contrario, è un processo di purificazione naturale, in quanto – ha continuato il direttore dell’Ibf-Cnr – sfrutta la capacità delle piante di assorbire elementi e composti dal suolo per poi concentrarli nelle parti mietibili (fusto e foglie). Le piante in questione, se opportunamente trattate con sostanze dette chelanti, che servono a rendere estraibili i metalli inquinanti, funzionano come pompe che operano a energia solare, in grado di assorbire dall’acqua e dal terreno non solo i sali minerali necessari per la propria sussistenza, ma anche elementi tossici minerali e/o organici”.

3 risposte a “Le piante mangia-metalli

  1. non ci sono dubbi sul fatto che la fitodecontaminazione funzioni realmente sia per quanto riguarda i metalli (tramite accumulo degli stessi nella pianta)ma anche per altri tipi di contaminanti (ad esmpio, il pioppo riesce, tramite radici e batteri simbionti, a rompere catene idrocarburiche presenti nei terreni, di fatto decontaminandoli).
    all\’atto pratico però (e purtroppo) le aree di bonifica si trovano spesso in ex siti industriali o comunque nei centri abitati: ciò significa che l\’applicabilità di questi metodi risente del fatto che gli operatori che hanno interesse a bonificare lo hanno esclusivamente ai fini di una riqualificazione delle aree che deve in qualche modo avere un tornaconto economico. Entra quindi in gioco il fattore tempo: tutti i metodi di decontaminazione \"naturale\" richiedono tempi lunghi rispetto alle tecniche di bonifica tradizionali, rendendosi di fatto antieconomici agli occhi degli investitori.
    Come sempre buona tecnica e soldi non vanno proprio daccordo….sic!

  2. Pingback: Milioni di girasoli (buddisti) per bonificare Fukushima | Nucleare in Italia?

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