Quanto è importante il “lato oscuro” degli alberi

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, diceva il Piccolo Principe nel capolavoro di Saint-Exupéry, e mai frase fu più adatta al mondo degli alberi, indagato nelle sue profondità misteriose, quelle legate alle sue radici. Trascurate perché non le vediamo, le radici sono invece una chiave fondamentale: capire come funzionano e a quali problemi possono andare incontro ci permette di comprendere ciò che può mettere a rischio la stabilità degli alberi che piantiamo nelle nostre città e costruire “modelli” che consentano di prevedere come si svilupperanno le piante da adulte.

Il tema di come funziona il “lato oscuro” degli alberi è stato protagonista del convegno “Radici-Albero: forme e funzioni” tenutosi lo scorso 15 settembre nella Chiesa di Sant’Agostino, ora splendida aula magna dell’Università di Bergamo. In realtà non è da molto che stiamo cercando di comprendere l’apparato radicale degli alberi, giusto una manciata di anni di studi mirati, molti dei quali francesi.

Pura noiosa accademia? Non proprio: è già emerso che le radici sono la vera intelligenza dell’albero, come un cervello nascosto alla vista, assimilabile ad un uomo a testa in giù. Una conferma è il fatto che in un cubetto di terreno di 10 cm si possono contare, in una radice di quercia di soli 13 cm, più di 750 estremità sensibili. Un potenziale incredibile per indagare la struttura e la chimica di terra, aria e acqua, se ci si pensa. Le ricerche francesi hanno poi evidenziato che le radici influiscono in maniera decisiva sullo sviluppo della parte visibile, tronco, rami e chioma: sono una parte fondamentale nelle piante, e la loro capacità di esplorazione del suolo è organizzata secondo strutture e funzioni gerarchicamente definite, diverse a seconda della specie.

Dagli studi sugli esemplari, è emerso che, tra quelle che utilizziamo, ci sono specie arboree che sviluppano un sistema radicale plastico capace di reagire agli ostacoli o alle sollecitazioni, e di contro, altre molto più rigide, incapaci di adattarsi. Che due platani vicini sono capaci di intersecare e fondere le rispettive radici e il loro “tenersi per mano” fa sì che resistano meglio alle raffiche di vento durante i temporali. Che l’amputazione della radice centrale (fittone) che in genere si verifica durante la coltivazione in vaso a causa dei necessari rinvasi e trapianti, in alcune specie di alberi compromette del tutto la loro capacità di radicare e ancorarsi bene al suolo. E che la qualità del suolo in cui viene piantato può fare la differenza in relazione al rischio di caduta dell’albero stesso, perché la presenza di aree asfittiche, compresse, pietrose, sabbiose o pregne di risalite d’acqua, influisce direttamente sulla creazione della “gabbia” di radici con cui l’esemplare imprigiona il terreno.

Leggendo gli interessanti documenti del Convegno, si scoprono risvolti funzionali del ruolo delle radici inediti, come per esempio che mettere i tutori ad un albero in crescita è controindicato perché non permette all’esemplare di rafforzare la sua zolla radicale preparandola alle sollecitazioni del vento. Insomma, quel poco che si sa sulle radici degli alberi affascina, e fa capire bene che c’è moltissimo ancora che non sappiamo, su questi meravigliosi esseri vegetali.

Ma perché è tanto importante capire come funziona un albero soprattutto in città? Perché viali e piazze sono il contesto ostile per eccellenza alla vita vegetale – tra smog, fili della luce, cantieri e asfalto, e i cambiamenti climatici stanno imponendo una dura sfida al verde urbano. Un inverno secco e un’estate arida come quelli che abbiamo appena superato, con precipitazioni violente limitate nella durata, hanno portato alla caduta di molti alberi a seguito di fortissimi temporali e bombe d’acqua o alla morte per sete, con un bilancio di pesanti danni a persone e cose.

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