Uccisa dalla caduta di una palma: alla sbarra c’è il Comune

Era seduta con la figlia di 19 anni sulla panchina di piazza Cutelli, nel centro di Catania. Patrizia Scalora, 49 anni, moglie di un sottufficiale della guardia di finanza, è morta così, schiacciata dall’apice di una palma il 23 ottobre del 2014. Ma il processo si apre ora, e alla sbarra, imputati per omicidio colposo, ci sono i dirigenti del Verde pubblico del Comune di Catania. L’udienza preliminare, dopo la costituzione delle parti, continuerà il suo corso con la prossima udienza fissata il 22 marzo, quindi altro tempo passerà. Tempo in cui i familiari di Patrizia e gli amici continueranno a chiedersi di chi è la colpa di questa morte, considerato che le palme non hanno mai ucciso nessuno.

Il tema della manutenzione delle alberature in città sta diventando sempre più urgente. Sulla palma, alcuni scrivono, si era intervenuti poco tempo prima, per un sospetto attacco di punteruolo rosso, l’insetto killer delle palme che da tempo ne sta facendo strage. Il pubblico ministero ha escluso il vento come causa del fatto. Del resto le palme crescono dove imperversano gli uragani.

COSA DICE LA LEGGE
Secondo la legge, la colpa sta nella negligenza, cioè il non aver adottato tutte le misure necessarie alla messa in sicurezza della palma, misure che avrebbero garantito il non verificarsi dell’evento. Il problema è serio: non tanto per la frequenza, davvero ridotta, di un evento così tragico, quanto nell’individuazione della responsabilità. Il dirigente catanese avrebbe dovuto vigilare sull’intervento e accertarsi che i lavori fossero stati eseguiti a regola d’arte: è questo quanto gli viene contestato. Secondo la procedura, il giudice potrebbe disporre un CTU, ovvero una consulenza tecnica d’ufficio eseguita da un perito nominato dal Tribunale.

LA DENUNCIA DEGLI ESPERTI
Alla luce della singola gravissima vicenda però, dal mondo degli arboricoltori ovvero di chi si occupa di alberi per professione, da tempo si denuncia a gran voce la cattiva gestione del verde in città che, per sua stessa natura, ha bisogno assoluto di competenze e formazione certificate. Attualmente non ci sono vincoli in questo senso: a chiunque, anche un pensionato, se in possesso di partita iva e strumentazione adatta, può essere affidato un incarico per cui un professionista si ammazza di patentini e certificazioni. Proprio di questi giorni il Comune di Merate si è vantato di aver potato i suoi alberi grazie all’opera dei dipendenti e di un lavoratore socialmente utile (ai cittadini però la cosa invece non è affatto piaciuta). Qualcosa non va nel nostro paese se chi è preparato e chi no possono fare lo stesso lavoro.

Ed è grave pensare alla perdita di cultura che questo sistema evidenzia: il giardino all’italiana è stato storicamente punta di diamante, vanto e gioiello, immagine da esportare del Belpaese. Ora tutto quel know-how su alberi e piante si perde perché non si riconosce al lavoro sul verde il suo valore, che ci ha reso grandi. E che ne è della funzione così delicata degli alberi, che ci danno ossigeno, ombra e tanto altro se manutenuti in salute?

POSSIBILI SOLUZIONI
L’ufficio tecnico del verde
di qualsiasi comune dovrebbe essere tenuto a seguire un Regolamento del Verde (dove si specificano tempi e modalità degli interventi) e, visto che il suo dirigente non ha una formazione specifica sugli alberi – si tratta in genere di ragionieri o architetti – dovrebbe essere tenuto, indica Felice Mariani, arboricoltore professionista e docente alla Scuola Agraria del Parco di Monza – ad avere un dipendente agronomo o un perito agrario abilitato e iscritto all’ordine. E’ intuibile che una persona preparata specificatamente su alberi e piante sarebbe in grado di distinguere il valore e la competenza delle aziende a cui il Comune si affida, pena potature insensate, messa a rischio della stabilità degli alberi e quindi della sicurezza dei cittadini. Altrimenti la responsabilità di una morte come quella della Sig.ra Patrizia sarà sempre e solo imputata al caso.

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