Partiamo dal principio, Ing. Ballarini: che cosa s’intende per gas non convenzionali?
Si tratta di normalissimo gas naturale, Daniela: principalmente metano ma proveniente da giacimenti che fino a pochi anni fa non erano sfruttabili, perché dispersi in rocce impermeabili come gli scisti o addirittura nei fondali degli oceani o nel permafrost.
Perché questi nuovi gas sono così interessanti?
Il fatto è che il gas proveniente da queste fonti finora non considerate sta entrando a gamba tesa sul mercato, sconvolgendo gli equilibri perché grazie a nuove tecnologie viene estratto in quantità sempre maggiori, soprattutto negli USA per i quali ormai rapprenta metà della produzione. E questo ha indebolito non poco la posizione dei produttori tradizionali di gas, quali la Russia, i paesi del golfo e l’Algeria. Il recente calo del prezzo del gas, di cui beneficiamo anche noi, è la diretta conseguenza di questa “new entry”.
Si tratta dunque di vaste quantità…!
Infatti: le riserve di questo tipo di gas non convenzionali, ancora non del tutto stimate, sono abbondantissime. Anche troppo. Si parla addirittura di un raddoppio delle riserve.
Quindi dov’è lo svantaggio?
Il problema è che per l’estrazione sono necessarie tecniche complesse, trivellazioni orizzontali, frantumazione delle rocce. E, soprattutto, si devono impiegare quantità elevatissime di acqua addizionata di particolari composti chimici, (fino al 2%!), tenuti segretissimi dai produttori, non si sa se per la loro pericolosità o verosimilmente per proteggere il segreto industriale ed evitare che nuovi concorrenti si affaccino sul mercato abbassando ulteriormente i prezzi.
Gli effetti sull’equilibrio idrogeologico e sulle falde idriche sono immaginabili. Inoltre si teme che una buona parte del metano, invece che raccolto, venga liberato nell’atmosfera. E il metano è un potentissimo gas serra, molto più potente della tanto vituperata CO2, l’anidride carbonica… che peraltro anche il metano produce una volta bruciato, essendo un combustibile fossile.
Quindi il problema è l’impatto ambientale. Ci sono altre fonti di gas non convenzionali in natura?
Esiste un’altra forma di metano immagazzinata nella crosta terrestre, ancora più abbondante, al di là di ogni immaginazione: i cosiddetti clatrati, un tipo particolare di ghiaccio che “ingabbia” nelle sue molecole enormi quantità di metano, al punto di incendiarsi (il cosiddetto “ghiaccio che brucia”). Fino a non molti anni fa si pensava che questi composti fossero presenti solo nei gelidi corpi del sistema solare esterno. Poi si è scoperto che i clatrati sono abbondantissimi non solo sulle lune di Giove e su Titano ma anche dalle nostre parti, nel permafrost e nei fondali degli oceani. Ad oggi ancora non si sa come estrarre questo gas, ma se si dovesse trovare il modo sarebbe un terremoto, anche economico, ancora più sconvolgente. E stiamo parlando di risorse immense: 2-10 volte superiori alle attuali.
Questi nuovi “giacimenti” potrebbero risolvere i nostri problemi energetici?
Beh, tieni conto che con il metano si può fare tutto, ci si può riscaldare, alimentare veicoli e centrali elettriche, tra l’altro molto più efficienti di quelle che usano altri tipi di combustibili. Potremmo andare avanti a consumare come dei forsennati per secoli.
Però…
Il problema è che non abbiamo proprio idea di quello che potrebbe succedere a questo povero pianeta se bruceremo quantità di combustibili fossili molto superiori a quelle che pensavamo, finora, di avere a disposizione. O forse un’idea l’abbiamo perché non è escluso che alla Terra, in passato, sia già successo più volte che tutti i clatrati siano stati liberati nell’atmosfera. Ad esempio durante l’estinzione di massa del Permiano-Triassico, quando si sono estinte il 96% delle specie marine e il 70% di quelle terrestri: mica pizza e fichi! Dite la verità, cominciate già a sentire la mancanza delle centrali nucleari, vero? 😉