Basti pensare che “e’ possibile bloccare la crescita di tumori sperimentalmente indotti nell’80% dei topi che abbiamo immunizzato senza aggiungere adiuvanti alla formulazione, oppure nel 100% con l’aggiunta di un adiuvante”. I vantaggi, dunque, ci sono e non solo in termini scientifici ma sociali ed economici. Utilizzare piattaforme di produzione vegetali permette di lavorare in assenza di patogeni per l’uomo e dal punto di vista economico, coltivare piante in una serra, utilizzando energia solare, acqua e un po’ di concime e’ molto meno costoso rispetto a sistemi classici di produzione come quelli basati su linee cellulari di mammifero, con grandi vantaggi soprattutto per i Paesi in via di sviluppo dove il carcinoma cervicale e’ piu’ diffuso.
Inoltre, spiega Silvia Massa, “stiamo studiando come sfruttare alcune proteine di origine vegetale per migliorare i vaccini tumorali. Queste proteine potrebbero essere usate per fare in modo che il sistema immunitario riconosca meglio ed elimini le cellule infettate da Hpv o gia’ trasformate in senso neoplastico che esprimono l’antigene associato al tumore. Abbiamo alcuni candidati promettenti e lo studio di questo aspetto dell’immuno-modulazione e’ estremamente
affascinante”.
Ma purtroppo, come sempre, mancano i soldi. “Da oltre 10 anni va avanti la ricerca in collaborazione con il laboratorio di Virologia dell’Istituto Regina Elena, Atenei Italiani ed Istituti stranieri ma, nonostante gli ottimi risultati, non c’e’ azienda farmaceutica disponibile ad investire”. Il problema, sottolinea, “e’ l’investimento iniziale che ammonta ad almeno 250 mila euro per poter giungere ad un sperimentazione clinica di fase 1 che permetterebbe di testare il vaccino sull’uomo”.