Coltivavo cipolle, melanzane, cavolfiori, lattuga, pomodori, peperoni, fragole e altri ortaggi . Nel momento di massimo splendore la mia azienda agricola contava quasi novecento piantine ed era molto più grande dell’orto che avevo a Robben Island.
Una parte dei semi la acquistavo e altri – per esempio quelli dei broccoli e delle carote – mi venivano forniti dal comandante Munro, che apprezzava particolarmente i miei ortaggi. Anche i guardiani mi davano i semi delle verdure che preferivano, insieme con ottimo letame che utilizzavo come fertilizzante.
Al mattino mi mettevo un cappello di paglia, un paio di guanti robusti, e andavo a lavorare nell’orto per un paio di ore. La domenica portavo verdure in cucina perché le usassero per preparare un pasto speciale per i detenuti. Ne davo molte anche ai guardiani, che portavano apposta delle borse per riempirle di verdura…”
“A garden was one of the few things in prison that one could control. To plant a seed, watch it grow, to tend it and then harvest it, offered a simple but enduring satisfaction. The sense of being the custodian of this small patch of earth offered a taste of freedom. In some ways, I saw the garden as a metaphor for certain aspects of my life. A leader must also tend his garden; he, too, plants seeds, and then watches, cultivates, and harvests the results. Like the gardener, a leader must take responsibility for what he cultivates; he must mind his work, try to repel enemies, preserve what can be preserved, and eliminate what cannot succeed.”
“Long Walk to Freedom” (Nelson Mandela)