“La viticoltura biodinamica e biologica, che sono per il mantenimento delle risorse naturali, nascono proprio da un sentimento di paura. Ma noi dobbiamo andare aldilà”, afferma Attilio Scienza, poiché la scelta del biologico è “una via senza uscita. Non ci possiamo accontentare di tornare nel passato, per poi non avere un futuro. Sarebbe come rattoppare la nave di Teseo”.
Insomma, per lo scienziato le tecniche di ingegneria genetica, in particolare la cisgenetica – dove, al fine di rendere le piante più forti e resistenti a malattie e parassiti, si aggiungono geni sì, ma derivanti da varietà della stessa specie, – sono la chiave per recuperare la produttività in calo delle vigne italiane. “Lazio e Umbria” – avvisa il biologo – “hanno già perso il 50% della loro viticoltura.”
Secondo lo scienziato “Urge un cambio di visione. Attraverso il genoma editing, e in generale con la cisgnetica, stiamo lavorando con la Fondazione Mach a Trento per rendere la vite resistente alle fitopatologie. Vogliamo uve Sangiovese che non debbano più essere trattate con la chimica e portainnesti resistenti al sale e ai cambiamenti climatici e per fare questo abbiamo una piattaforma che produce colture in vitro. Puntiamo a costruire una raccolta di germoplasma esemplare a livello europeo.”
Genetica che, secondo il biologo, sarà uno strumento migliore del bio anche per tutelare la biodiversità e i tipici paesaggi italiani, tra cui quelli – per esempio le colline del Prosecco di Valdobbiadene – che stanno tentando di ottenere in questi mesi il riconoscimento dell’Unesco.