“Con la nuova norma inserita nel famigerato Decreto Genova, basta aggiungere la giusta quantità d’acqua per trasformare i fanghi contaminati in materiale autorizzato ad essere sparso nei campi agricoli dove si coltivano le verdure che porteremo a tavola”. A dirlo un tecnico ambientale intervistato da Fiori&Foglie che spiega che la modifica introdotta dalla nuova norma contiene un “trucco”. Il nuovo limite stabilito per la quantità di idrocarburi pesanti ammessi all’interno dei fanghi passa da 0,05 gr/kg sul secco a 1 gr al kg sul “tal quale” (ovvero sulla materia così come si presenta, cioè idratata). Cosa significa esattamente? Che differenza c’è, rispetto a prima? Cosa implica la nuova norma, che nulla ha a che vedere con la ricostruzione del ponte di Genova, e come gestiscono i fanghi urbani in altri paesi?
Va detto, si faceva anche prima: come concime per i terreni agricoli, si spargono i fanghi risultato della depurazione dei rifiuti urbani. Le piante e i batteri depurano ciò che si deposita, e grazie a loro, noi possiamo godere i frutti dell’agricoltura sulle nostre tavole senza alcun timore. Con un però… La nostra fonte, che preferisce rimanere anonima, lavora da tempo nel settore delle indagini ambientali: specializzata nelle qualità organolettiche del suolo, conosce bene il tema e sulla nuova norma esprime forti dubbi.
Se fino ad ieri – ci spiega – la quantità di idrocarburi ammessa (utilizzando come riferimento tabellare quello indicato nel Testo Unico Ambientale) era di 0,05 gr al kg sulla materia secca, ora, il nuovo criterio non solo aumenta di 20 volte la percentuale di contaminanti ammessi, ma applica la soglia alla materia mista ad un diluente. Sarà quindi molto più facile sfuggire alle maglie delle verifiche (basta aggiungere acqua fino a rispettare il nuovo limite): si apre così la via alla diluizione incontrollata degli inquinanti che basterà a far sì che i fanghi inquinati appaiano in regola con le norme seppure 20 volte più velenosi che in passato.
VERIFICHE PIU’ DIFFICILI
E’ facile comprendere infatti, sottolinea la fonte, che 1 gr /kg di contaminanti in un fango che in genere esce dal depuratore idratato al 60%, non sono di certo uguali a 1 gr/kg in un fango idratato al 90%: in termini assoluti riferiti alla percentuale di sostanza secca, sono ben di più! Proprio per evitare confusioni, nelle norme tradizionalmente i limiti venivano applicati alla sostanza secca, cioè al materiale non idratato. In più, la modifica di questo criterio renderà meno facile ottenere dati standard da confrontare che permettano di comprendere il reale stato di salute dei terreni italiani.
IL PROBLEMA DELL’ACCUMULO
E la criticità non si ferma qui. Il problema degli idrocarburi pesanti, cosiddetti “a catena lunga”, ci spiega il tecnico, è che sono poco mobili nel terreno. Se dunque da un lato non scendono in profondità e quindi non inquinano la falda, dall’altro hanno una caratteristica estremamente pericolosa: si accumulano. Permangono così nel terreno agricolo che, ad ogni nuovo spargimento, trattiene una quantità di contaminanti che non si degrada. Il suolo inquinato quindi perde di qualità con gli anni, danneggiando l’ecosistema e la microbiologia del terreno, e diventando inadatto ad essere abitato. Se infatti il proprietario del terreno contaminato vorrà metterlo a disposizione dei figli perché ci facciano la loro abitazione o, con il cambio di destinazione, dovesse ospitare una scuola o un condominio, per legge, dovrà essere prima – e a caro prezzo! – bonificato, poiché le concentrazioni di idrocarburi finiranno per risultare ben maggiori di quelle ammesse dalla legge.
FANGHI SUI CAMPI COLTIVATI: E’ NECESSARIO?
Ma la domanda naturale è la seguente e la poniamo immediatamente: ma è proprio necessario spargere i fanghi urbani sui terreni agricoli? La risposta è NO, prova ne è che in Svizzera per esempio i fanghi urbani vengono bruciati ad altissime temperature da inceneritori moderni che, nel farlo, espellono non gas velenosi (come si potrebbe pensare) ma anidride carbonica e vapore acqueo. Certo, dopo la combustione rimane una piccola frazione di scorie, che però ammonta solo al 20% della materia di partenza, peraltro riutilizzata nella produzione di calcestruzzo. Inoltre i moderni termovalorizzatori sono sottoposti a continui controlli anche grazie all’utilizzo di droni che, tramite sonde, fanno continue rilevazioni sui camini valutando la qualità dell’aria.
Insomma, la nuova soglia per lo spargimento di fanghi contaminati non sembra né risolvere il problema, né tantomeno portare a conseguenze desiderabili, oltre a rendere assai difficili le verifiche sugli idrocarburi sparsi nei terreni agricoli, che dovremmo preservare con cura perché sono gli stessi che, lavorati dagli agricoltori, ci danno da mangiare tutti i giorni. E sorge una domanda spontanea: possiamo davvero continuare ad avvelenare l’ambiente senza pensare, prima o poi, di pagare dazio?