Fiori e Foglie

Pini troppo alti e fragili, dice Borrelli: il parere dell’esperto di stabilità degli alberi

Alberi dalla forma così particolare, altissimi e magri, i pini, con la loro splendida chioma ad ombrello. Ma nelle scorse settimane, sotto il maltempo sferzante, in tutta Italia, di pini ne sono caduti moltissimi. Il capo della Protezione civile Angelo Borrelli in un’intervista su La Repubblica ha dichiarato, perentorio: “Il problema è stata la fragilità degli alberi, soprattutto in città. I pini, che presentano un apparato radicale molto superficiale, sono andati giù”. Fiori&Foglie di Tgcom24 ha chiesto un commento al professionista Giovanni Morelli, esperto nella valutazione della stabilità degli alberi, ecco cosa ci ha risposto…

“Gli enti proprietari non hanno risorse finanziarie per una cura puntuale (ndr. degli alberi in città), non li potano con frequenza periodica e questo accentua i problemi che già abbiamo. I pini davanti a casa mia, per dire, sono più alti del palazzo.” Queste le parole di Borrelli, che hanno spinto il professionista di stabilità degli alberi Giovanni Morelli a replicare, dal suo profilo Facebook: “Queste poche parole – parole che avrebbe potuto pronunciare una qualunque casalinga (con tutto il rispetto …) scioccata dallo schianto di un albero del cortile – denotano un tale semplicistico e presuntuoso antropocentrismo da lasciare quasi senza fiato chiunque abbia un minimo di preparazione scientifica ed umanistica”.

Giovanni Morelli

Giovanni, secondo Borrelli i pini in città sono dunque instabili e perciò pericolosi. Ci spieghi perché non ritieni vera quest’affermazione?
Al capo della protezione civile non viene richiesta una conoscenza professionale degli alberi, ma doti di coordinamento e di pianificazione tanto nell’emergenza che nella prevenzione. E purtroppo è più facile ricorrere a luoghi comuni che chiedere a chi ha una competenza tecnica specifica in arboricoltura.

Se c’è una specie arborea che ha le radici più profonde in assoluto, quella è il Pino domestico (Pinus pinea). Con quella radice, tecnicamente si chiama “fittone”, questo albero ci nasce. Il pino è specie ruderale, da pendio incoerente (ghiaioni): per questo ha sviluppato nei millenni una struttura capace di opporsi con efficacia alle intemperie. Siamo noi uomini che tagliamo il fittone per mettere la pianta nei vasi destinati alla vendita. Il risultato è che la pianta, amputata, reagisce creando un pane di radici superficiali. In realtà basterebbe conoscere e rispettare la fisiologia degli alberi per avere in città piante che resistono agli elementi. Nel caso del pino, basterebbe piantare in città esemplari giovani con il fittone intatto, così che possano radicare in profondità a supporto della propria crescita.

Non solo. La chioma del pino fa portanza. Noi vediamo semplicemente un albero, ma in realtà si comporta come l’ala di un aereo: “galleggia” nell’aria. Se per venire incontro alle nostre paure, “alleggeriamo” la chioma, e ci facciamo dei buchi dentro, sabotiamo la sua capacità di gestire il vento. Una chioma potata indebolirà “l’ala”, rendendola più fragile. In realtà il pino sa benissimo gestire il vento da solo: è progettato geneticamente per sopravvivere a contesti in cui serve un ancoraggio saldo al suolo, e una chioma che resista a raffiche impetuose. Il pino stesso ci insegna la sua strategia contro il vento: se tagliamo delle branche, i suoi rami non ricresceranno. Il pino infatti non risveglia gemme dormienti che potrebbero dare vita ad una nuova vegetazione, come invece fanno molti altri alberi. Questo perché l’evoluzione ha fatto sì che l’albero mantenesse intatta negli anni la sua struttura per far meglio fronte alle intemperie.

Guardiamo invece come si comporta un albero che si presenta tanto maestoso e solido, e che conosciamo bene: il tiglio. La sua strategia è invece opposta: per affrontare le avversità, il tiglio (Tilia cordata) ha messo in conto di poter sacrificare alcune delle sue parti, anzi praticamente tutte, tranne il tronco. Ricco di gemme dormienti, per questa specie perdere intere parti della chioma, o grossi rami durante una bufera non sarà un problema: tanto la pianta è pronta a rigenerare tutto ciò che ha perso. Quale delle due strategie si adatta meglio al contesto urbano, a questo punto? Meglio il pino, che non perderà mai i suoi “pezzi” o il tiglio che, pur profumando i nostri viali, però li sacrifica, magari a nostre spese? Emerge dunque che se non conosciamo gli alberi, non siamo in grado di gestirli, e se non ce ne occupiamo nella maniera corretta, considerandoli pericolosi, siamo i primi a “manometterli”.

Non esistono alberi troppo alti o fragili, esistono solo alberi incompresi. Solo se impariamo a leggerne il linguaggio corporeo e le ragioni evolutive possiamo aspirare ad una convivenza serena. I pini sono troppo importanti per il nostro paesaggio e la nostra cultura per essere sacrificati sull’altare della semplificazione e del luogo comune.

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