“E’ un dovere morale e civile ricordare le vittime delle mafie, ma non lo si può fare danneggiando degli essere viventi”, dichiara in merito all’opera – di cui relaziona in questi giorni il prestigioso quotidiano come il Sole24Ore – Andrea Pellegatta, vicepresidente di SIA (Società Italiana Arboricoltura)” – “La sensibilità verso la vita, che è il contrario della cultura della morte delle mafie, la si potrebbe celebrare, ad esempio, piantando nuovi alberi. Di certo non danneggiando con dei graffiti gli alberi di città”. E prosegue: “Senza considerare che grazie a gesti celebrati come questi, si avallano atti di vandalismo nei confronti degli alberi”. E Pellegatta conclude, duro: “Insomma, si tratta di un messaggio pessimo da tanti punti di vista.”
Ovvero, si tratta del tipico caso per cui, in nome di un preteso simbolismo legato ad alti ideali – il progetto è stato realizzato dalle artiste Goldschmied & Chiari per la Fondazione Cultura e Arte per Ballarò – in realtà si finisce per realizzare qualcosa che di nobile ha ben poco. Il fatto colpisce ancora di più considerando che l’incisione di nomi e date sui tronchi fa seguito alla mostra “Foresta Urbana” su cui si sono spesi fiumi di parole che tra l’altro invocano la “salvaguardia del patrimonio naturalistico”.
Incidere la corteccia degli alberi è danneggiarne la parte più delicata: quella appena sotto la corteccia, lì dove si trovano i vasi che trasportano linfa e nutrimento dalle radici alla chioma e viceversa. Le ferite praticate sui tronchi non fanno che invitare funghi e parassiti ad aggredire la pianta, accorciandone la vita.
Non sarebbe semplicemente bastato accostare agli alberi della prestigiosa Biblioteca di Palermo, nell’atrio del quale Paolo Borsellino nel 1992 tenne il suo ultimo dibattito, un elegante ceppo o un tutore con una targa artistica commemorativa? Quello sì che sarebbe stato un gesto rispettoso della vita, espressione di quella pretesa “rinascita culturale” di cui parla il Sindaco, non certo questi graffiti adolescenziali.