L’esperimento in realtà è già stato tentato, ma si è evoluto: non consiste più nell’inserire un “corpo estraneo”, magari di un animale, ma nell’indurre la pianta a sviluppare un meccanismo che funziona naturalmente nel fungo. Pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology, lo studio ha dimostrato che è possibile prelevare dai funghi una molecola, l’acido caffeico, che produce luce attraverso il ciclo metabolico, e far sì che la pianta lo riproduca, dando vita ad una luce brillante – come accade nei semi dell’albero sacro di Avatar – capace di intensificarsi ancora di più se, alla pianta modificata, viene avvicinata una banana matura, che tipicamente emette etilene: “il bagliore è aumentato significativamente”, hanno spiegato gli esperti, in particolare nelle parti più “giovani” della pianta, che tendono a brillare più intensamente, così come i fiori.
Solo bellezza? Non proprio. “Non si tratta solo di un attributo estetico, ma potrebbe essere utile anche per osservare il funzionamento interno della pianta. Alcuni funghi brillano per tutto il loro ciclo di vita senza aver bisogno di prodotti chimici”, afferma il ricercatore Kaen Sarkisyan. “Sarebbe fantastico sostituire i lampioni con fiori bioluminescenti, le piante producono una piacevole aura verde che emana dalla loro energia vitale, producendo più di un miliardo di fotoni al minuto”, aggiunge Illa Yampolsky. “A differenza di quanto avviene con i pigmenti prelevati dalle lucciole, queste piante producono un bagliore più costante, incorporato direttamente nel loro codice genetico, il che permette alle piante di brillare fino a dieci volte più intensamente degli esperimenti precedenti”, spiega Keith Wood, CEO di Light Bio, del team che ha creato la prima pianta luminescente usando il gene delle lucciole.