Al carcere di Bollate è in corso da due anni un silenzioso esperimento, strabiliante e di per sè rivoluzionario. I detenuti possono lavorare coltivando piante in serra. Ma non si tratta di un modo per tenerli occupati senza costrutto. I frutti di questo lavoro vengono venduti al pubblico nel negozio a Milano, tramite uno stand presente alle mostre-mercato oppure online, sul sito della Cooperativa Bollate, all’indirizzo www.cascinabollate.org che riporta, pianta per pianta, l’intero catalogo. Ma come fanno dei detenuti a lavorare “fuori”?
Semplice, non solo loro ad uscire ma il vivaio ad “entrare”. Le serre si trovano proprio dentro al carcere e chi sconta la sua pena lavora fianco a fianco con dei giardinieri che insegnano loro come coltivare e prendersi cura delle piante. E non pensate che stiamo parlando dei soliti gerani. Al vivaio Cascina Bollate si producono molte piccole piante perenni (erbacee e graminacee) che raramente si trovano nei garden e che si possono tranquillamente coltivare in vaso sul balcone: il ceratostigma plumbaginoides, tappezzante a fiorellini blu genziana, il giallo sole dei coreopsis di cui abbiamo parlato sul blog in questi giorni, la glechoma hederacea, dal fogliame delicato con fascinosi tocchi di bianco, l’hesperis matronalis, erbacea dalla lunga fioritura lilla. Senza dimenticare rose e gerani odorosi, dalla foglia profumata.
Artefici di questo esperimento un pool di teste “rosa”: a partire dalla coraggiosa direttrice (ebbene sì, è una lei!) del carcere, Lucia Castellano, alla vice Maria Gabriella Lusi, alla giardiniera a capo della serra, Susanna Magistretti. Insomma, a Bollate non solo si impara un mestiere fra le sbarre, ma si fa anche un lavoro di qualità. E si fa pratica di “rientro” (psicologico e professionale) in una società in cui, per decisione propria e per casi della vita, si è rimasti ai margini. Con un notevole vantaggio: quello di trovare un lavoro, un lavoro vero, quello di chi si alza presto la mattina e poi stanco, rincasa la sera, anche se in carcere. Un’opportunità, questa che, per assurdo, non è per niente facile da ritrovare “fuori”, nel mondo libero, dove guadagnare onestamente non è facile neanche per chi non ha conti in sospeso con la giustizia.
L’esperimento di Bollate avanza, e ci offre anche un’altra opportunità, non per i detenuti stavolta, ma per noi che siamo “fuori”: ci fa guardare con occhi diversi il carcere e i detenuti stessi, non più peso inerte sulle spalle della società ma membri attivi nella propria riabilitazione. E a partire dal mese di aprile le piante della Cascina Bollate le sta vendendo anche “Cargo”, punto di riferimento per l’arredo etno-trendy in via Meucci a Milano. La rivoluzione dietro le sbarre è iniziata dunque, e via così!