Muri verdi? Un vezzo per pochi

Chiamateli come volete: giardini verticali, muri vegetali, ma i duri e puri del verde non ci stanno. Ebbene sì, ci riferiamo proprio ai famosi muri verdi che fanno tanta notizia, in primis con le opere di Patrick Blanc che in Francia li ha resi celebri e oggetti di desiderio persino per le griffes. Lussureggianti e dal look prepotentemente tropicale. Ma di breve vita e di fugace bellezza. O almeno così dicono i professionisti del verde che, pur riconoscendone il fascino, non li ritengono un modo valido e intelligente per inverdire le nostre case o i palazzi delle nostre città. Altre le soluzioni possibili e tanti i difetti di questi “muri vegetali” iper-tecnologici: ecco cosa ci racconta Giovanni Poletti, agronomo, esperto in soluzioni abitative in cui le piante diventano vere protagoniste del vivere quotidiano.

Dott. Poletti, sulla stampa si parla sempre più di muri verdi o giardini verticali: di cosa si tratta esattamente?
Il cosiddetto “muro verde” è una rivisitazione o un’evoluzione del verde pensile. Alla luce delle normative relative alle performance energetiche degli edifici, si stanno cercando strade per arrivare a risultati utili in chiave di risparmio energetico: con il verde si possono isolare i muri di un edificio, grazie all’utilizzo di soluzioni tecniche ad hoc.

Quando si può parlare di verde pensile e a cosa serve?
Per verde pensile si intende la coltivazione di uno strato di terreno che non ha continuità con il suolo circostante. Il verde pensile non riguarda solo i tetti ma anche le superfici inclinate fino a 30-35 gradi (per esempio un garage interrato). Queste superfici, se inverdite, possono assolvere ad una funzione estetica sì ma soprattutto combattere il surriscaldamento delle costruzioni, captare le polveri sottili, ridurre il rumore, utilizzare, raccogliere e filtrare l’acqua piovana.

Quando si parla di verde verticale però vengono subito in mente i muri di Patrick Blanc.
I muri verdi di quel tipo sono una cosa elitaria. Peraltro si tratta di una tecnica ancora molto sperimentale: sono perplesso e penso rimarrà una cosa limitata di scarsa diffusione.

E’ un problema di costi o di altro, secondo lei? Si parla di circa 500 euro al mq…
Il problema dei costi, realizzazione a parte, è riportabile più che altro alla manutenzione: piante che muoiono, pezzi della struttura da sostituire. Occorre fare attenzione alle specie scelte, diverse a seconda di come e dove il muro viene creato, a quale latitudine, all’interno o all’esterno. E la manutenzione deve essere non solo specializzata – perché bisogna conoscere molto bene la tecnica utilizzata – ma anche continua, per far sì che il muro sia sempre decorativo e “vivo”. E tutto questo costa. Peraltro bisogna ancora capire la durata nel tempo di un’opera di questo tipo, visti i continui interventi di cui necessita. Ma sono ancora pochi gli esempi che abbiamo di fronte, in Italia pochissimi.

Il giardino verticale è dunque un fenomeno di nicchia?
Assolutamente sì. E le dirò, noi professionisti ci domandiamo spesso, davanti a questo fenomeno, se abbia un senso fare un muro verde quando non c’è una cultura ambientale di base e non si fanno cose molto più banali, come prendersi cura del verde pubblico già esistente, ad esempio.

In Italia a che punto siamo su questo fronte?
Gli enti ancora guardano a queste cose come vetrina, per promuovere la propria immagine. Difficilmente si pensa a soluzioni verdi utili, con l’intenzione di creare qualcosa che migliori la qualità della vita dei cittadini. Per adesso queste soluzioni sono ancora vissute come un costo che non implementa la ricchezza comune ma sono un “di più”. Capisce bene quindi che è ancora più difficile far passare queste idee dal piano decorativo alle soluzioni abitative. E comunque sicuramente è il verde pensile la strada giusta, non i muri verdi, almeno per come vengono pensati in questo momento. Io sono molto scettico su soluzioni di questo tipo, soprattutto se isolate. La città intera deve essere pensata in chiave ecologica, se davvero vogliamo fare qualcosa che abbia un impatto sensibile sulla nostra vita.

Quindi cosa si può fare per migliorare l’ambiente nelle nostre città?
Per esempio si dovrebbero creare superfici urbane non asfaltate, e non sto parlando solo di parchi. L’asfalto infatti non permette l’assorbimento dell’acqua da parte del terreno. Ma per capire questo ci vuole una sensibilità che per ora non esiste ancora nel nostro paese. E i tempi sono stretti: è vero che si comincia a parlarne ma questa consapevolezza viaggia a ritmi troppo lenti.

Cioè?
Le faccio un esempio. Trent’anni fa si parcheggiava sull’aiuola. Oggi si parcheggia ancora sull’aiuola ma si vuole un balcone fiorito. Cioè non c’è legame tra una cosa e l’altra per l’uomo della strada: il balcone lo si vuole verde solo perché “verde è bello”. Non solo: deve essere in fiore 4 stagioni l’anno, profumare deliziosamente, non richiedere cure e costare poco. Praticamente l’impossibile! E intanto si continua a parcheggiare sull’aiuola…

Nelle città però stanno sorgendo palazzi verdi. Cosa ne pensa di progetti come il “Bosco Verticale”? Tutta immagine?
Vorrei tanto che non fosse solo questo. Il problema è che l’idea è bella, ma va valutata tutta la questione: inverdire i terrazzi dell’edificio va bene ma quanto mi costa, in termini ambientali, creare le soluzioni necessarie per farlo? Il trasporto di queste alberature al piano quanto inquinamento richiederà? E la quantità d’acqua di cui necessitano queste case? Ci sono persone che devono valutare queste cose.

Ma come si fa a capire l’impatto ambientale di un progetto di questo tipo?
In Italia questo è un problema. Esistono figure professionali che possono dare queste risposte ma spesso non vengono interpellate/coinvolte in fase di progetto. Alcune aziende italiane sono molto d’avanguardia in questo settore ma non hanno una grande visibilità. Facendo il corso sulla  certificazione energetica degli edifici mi sono accorto che il 90% dei progetti proposti non prevedeva nessuna copertura verde. Anche cose banali, come un giardino. In Italia si parla di verde urbano da vent’anni ma la formazione latita ancora. Gli agronomi sono stati ammessi solo molto di recente ai corsi che preparano queste figure: prima erano esclusivamente appannaggio di ingegneri e architetti. Va benissimo ma bisognerebbe porre in essere delle collaborazioni, per raggiungere, ognuno con la propria competenza, il massimo del risultato e rendere possibile, già a monte, un vero cambiamento per l’ambiente in cui viviamo.

Risorse web:
Il sito di Giovanni Poletti: www.docgreen.it
Il sito del “guru” francese dei muri verdi, Patrick Blanc: www.verticalgardenpatrickblanc.com