Il Congresso Internazionale di Botanica riunitosi l’estate scorsa a Melbourne, in Australia, ha approvato a larga maggioranza l’abolizione del latino come lingua comune nella denominazione e classificazione delle piante. Motivo? Le nuove scoperte e la necessità di trovare delle terminologie più moderne. E’ un’autentica rivoluzione per il mondo botanico, che arriva dopo più di 400 anni di dominio incontrastato della lingua latina. Secondo questa decisione, che si applica però solo alle nuove specie, già dal primo gennaio del 2012, le nuove piante potranno essere “battezzate” diversamente. Dunque in quale lingua dunque parleranno le piante?
La lingua suggerita per la catalogazione delle nuove specie dovrebbe essere l’inglese ma, si è detto, con la possibilità di usare anche lingue diverse. Il conservatore del “Giardino della Minerva” a Salerno, l’orto botanico più antico d’Europa, Luciano Mauro, però, solleva dubbi: “L’uso del latino è ormai consolidato” – dice, “Non vedo la necessità di un cambiamento che mi sembra possa solo creare della confusione”. Secondo il Curatore quello della lingua da usare per dare un nome alle piante è un falso problema: la vera innovazione sarebbe adottare un metodo di classificazione che proceda mediante l’applicazione di chiavi dicotomiche.
Ecco, trascurando la distinzione tassonomica, prendo a pretesto questo spunto per una piccola riflessione. Mi sembra che sia proprio la lingua il limite più severo alla diffusione del giardinaggio ovvero l’uso di una lingua morta non solo in ambito universitario, a cui si riferisce il Curatore, ma anche in ambito popolare. Ponendosi lontano dalla quotidianità della gente comune, il latino “uccide” anche la materia, inchiodandola nell’areale di ricercatori/studiosi, con tutte le sue dottissime “h” e le sue “y”….
Del resto non utilizzare il nome botanico, tutti gli appassionati lo sanno, può indurre facilmente in errore. Sorrido al ricordo di un pezzo su Fiori&Foglie di tempo fa in cui parlavo del Solanum capsicastrum, una pianta pur comune, a cui non sono riuscita a dare un nome comprensibile in italiano senza incorrere nell’assoluto arbitrio di “Ciliegio d’Inverno” (avrò di sicuro ammazzato qualche botanico, quel giorno!). La lingua italiana infatti utilizza nomi generici che si applicano malamente ad un’infinità di specie e varietà (che aumentano di giorno in giorno), modificandosi poi ulteriormente a seconda della zona geografica. Con il risultato che una “campanella” può indicare una Campanula esattamente come un’Ipomoea e si tratta di piante completamente diverse! E finisce che le specie diventano “margherite”, “trombette”, o peggio, “fiore rosa”, “fiore giallo”…
Insomma, la lingua parlata è semplicemente… insufficiente! Se si trovasse un altro nome da affiancare a quello latino, forse il mondo delle piante e del giardinaggio verrebbe considerato meno ostico e più alla portata di tutti. E quindi diffondersi davvero come merita. Insomma, il problema è complesso e affascinante, ma forse in gioco c’è ben di più di una questione meramente scientifica. Sembra che alle piante serva proprio una lingua nuova.