La miscela Arabica, il caffé più apprezzato dagli intenditori, potrebbe scomparire entro il 2080 per effetto dei cambiamenti climatici. A lanciare l’allarme estinzione sulle pagine della rivista Plos One è uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori dei giardini botanici reali britannici di Kew, in collaborazione con ricercatori etiopici, che hanno effettuato uno studio basato su dati storici e modelli climatici relativi alla distribuzione territoriale di questo arbusto così prezioso.
Secondo gli scenari che risultano dagli attuali modelli climatici, la pianta selvatica dell’Arabica sarebbe a grave rischio scomparsa e nel peggiore dei casi potrebbe arrivare all’estinzione entro il 2080. Tutte le tipologie di caffé Arabica utilizzate per la produzione dei pregiati chicchi sono infatti tutte strettamente legate al destino della pianta selvatica. Le varietà utilizzate a scopi commerciali sono infatti direttamente derivate dalla specie selvatica dalla quale vengono selezionate le caratteristiche più redditizie. Queste piante non possiedono quindi una variabilità genetica in grado permettere loro di far fronte alle variazioni climatiche oppure alla comparsa di nuovi parassiti o malattie.
Un allarme che potrebbe quindi colpire il mercato del caffé, la bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua e la seconda merce più scambiata dopo il petrolio. I chicchi di Arabica rappresentano da soli il 52% delle importazioni di caffé in Italia. Lo scenario più probabile prevede entro i prossimi 70 anni una riduzione dell’arbusto selvatico di Arabica compresa tra il 65 e il 99,7%. Gli stessi ricercatori fanno inoltre osservare che si tratta comunque di stime ‘caute’, in quanto nei modelli non hanno tenuto conto della deforestazione su larga scala che ha colpito in questi anni Etiopia e Sud Sudan, territori che sono il ‘cuore’ della diffusione di questa pianta.
I ricercatori si dicono però fiduciosi sulla possibilità di intervento per preservare la ricchezza genetica custodita da queste piante. “L’estinzione della varietà Arabica è una prospettiva sorprendente e preoccupante, tuttavia, l’obiettivo dello studio non era quello di lanciare sterili allarmismi. Lo scenario è certamente difficile ma deve essere visto più come un punto di partenza, da cui valutare appieno quali azioni sono necessarie”.