E ci siamo, anche quest’anno il Festival della Canzone italiana è finito. Trascinando dietro di sé le classiche polemiche su cantanti e conduttori e la non meno classica critica sui fiori. Alla serata finale, il Sindaco Zoccarato ha portato sul palco dell’Ariston ed esaltato l’importanza delle corolle per la città dei fiori (che però qualcuno ormai dice sia Albenga, che partecipa ad Essen, vetrina mondiale del settore), espressione del lavoro di centinaia di famiglie di floricoltori. Ma questi argomenti sono i soliti, aihmé. Le stesse tematiche saltano fuori ad ogni edizione del Festival ormai da anni, mentre l’Ariston presenta ogni volta una scenografia più nuda e spoglia della precedente. Nessuna novità, invece un’aria stantia di cose vecchie dette e ridette. I fiori rimangono una presenza totalmente trascurabile, apparendo di sfuggita in qualche bouquet, bellissimo per carità, ma importante come il mazzo di fiori di una qualunque sagra di paese. E nelle agenzie stampa c’è addirittura chi ha il coraggio di parlare di “cauta soddisfazione” per il promo di Sanremo andato in onda alle 11 meno un quarto di sera. Ma i fiori di Sanremo dubito abbiano guadagnato una gran piazza.
Una situazione questa, che non si sblocca. Ma sembra che pur di tenersi il Festival e il suo sempre meno allegro (per fortuna c’era la Littizzetto a dare una botta di freschezza) carrozzone, a Sanremo ci si accontenti di una visibilità minima, dove altri esigerebbero ben diversi tributi. Ma perché accade? Forse perché il modo di produrre corolle, nella Riviera, che non è più al passo con i tempi: le piccole o piccolissime aziende che sono un vanto tutto italiano di fatto non stanno al passo con la potenza olandese super automatizzata o con gli spazi sterminati dei paesi in via di sviluppo che, favoriti dal clima, si sono gettati nella produzione di rose di qualità che possono essere vendute a basso costo. Non solo. Gli italiani non sono più attirati, di questi tempi di crisi, verso i fiori recisi che hanno una durata limitata: si preferisce investire su “qualcosa che rimane”. Forse tutto questo ci dice che è ora di cambiare qualcosa in questo tipo di mercato. Forse anche i fioristi devono cambiare, dopo tutto, non solo il Festival.