Brexit? “I giardini inglesi che se li tengano, tanto sono passati di moda”

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Con questa frase lapidaria Mimma Pallavicini, giornalista del verde di lungo corso, commenta a caldo la Brexit, l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. La notizia che ha scioccato i mercati – con una sterlina che ora viaggia in picchiata – e che è esplosa sui media increduli di un risultato dato per impossibile fino a ieri, sta maturando ripercussioni in tutti gli ambiti, anche in quello del verde. Gli inglesi, “pollici” per antonomasia, faro di civiltà nell’ambito della cultura del verde, sono da oggi extra-comunitari. Ma poco male, secondo la Pallavicini, tanto i loro giardini – dichiara serafica – sono passati di moda: fermi al periodo vittoriano, attenti solo all’estetica di specie rare e abbinamenti da designer, i giardini inglesi non rappresentano più un riferimento. “E’ tempo di guardare altrove, ai giardini tedeschi per esempio, dove si parla di sostenibilità ed ecologia”.

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Un tipico giardino inglese, con mixed border e panchina in stile

IL VERDE GUARDA OLTRE
E molti personaggi del settore ribadiscono il concetto: per Alessandra Vinciguerra, curatrice degli splendidi Giardini de La Mortella ad Ischia, la Brexit forse ci aiuterà ad allargare il nostro sguardo, superando la sudditanza psicologica che abbiamo da tempo verso gli inglesi e rimarca: “Occorre cambiare i nostri riferimenti e guardare con più attenzione ai modelli americani, francesi, tedeschi, spagnoli, molto più esportabili. Per un giardino del Sud italia ha più senso studiare un giardino in Messico, piuttosto che uno in Cornovaglia”. Per il mondo degli alberi italiani, l’esperto Francesco Ferrini non ha grandi preoccupazioni: “Per quanto riguarda il settore dell’arboricoltura, gli inglesi sono già fuori da tempo e si lavora anche fuori UE senza grossi problemi. I rapporti di lavoro sono con Germania Francia Spagna, Paesi Ue e Stati Uniti. Non credo che la brexit avrà grosse ripercussioni”.

TURISMO E GIARDINI
Di sicuro però sarà inevitabile una complicazione notevole a livello burocratico e una perdita per il turismo nel Belpaese: gli inglesi, ricorda la Vinciguerra, oltre che de La Mortella, sono assidui frequentatori della Costiera Amalfitana e delle isole italiane, e commenta sconsolata: “Settimana prossima avremo ospiti per i nostri concerti dei musicisti inglesi: ci sentiamo quasi in colpa, sembrerà di recitare il De Profundis!”. Judith Wade, Presidente inglese di Grande Giardini Italiani, un network che riunisce 120 giardini storici, accusa il colpo, ma al cuore, non tanto al portafoglio. Su quello è prudentemente ottimista: per GGI potrebbe esserci una perdita di visitatori inglesi, – riflette, “ma auspico la possibilità di un piccolo effetto positivo: andare in Inghilterra costerà di più, e lì l’ingresso ai giardini è molto costoso. Può darsi che gli italiani decidano di andare alla scoperta dei giardini di casa loro, molto più vicini e con un biglietto d’ingresso di soli 7 euro. Per un giardino storico il visitatore italiano è molto più interessante che uno straniero: quando torna a casa, l’italiano parlerà a famiglia ed amici della bella esperienza che hanno proprio a portata di mano”.

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I giardini di Kensington Palace, Londra

UE, TROPPA FINANZA VIRTUALE
Una certa preoccupazione post brexit si sente in effetti, ma più per il clima politico. La decisione inglese potrebbe convincere altri ad uscire dall’Unione? “Di sicuro ha messo in discussione la politica europea fatta fino ad oggi“, afferma con forza Francesco Mati, Presidente del Distretto Florovivaistico Pistoiese, produttori di piante per eccellenza: “l’Europa si preoccupa di finanza virtuale senza invece interessarsi di tutelare e promuovere le aziende reali. E’ tempo di capire che questo non va più bene, che a chi lavora creando fatturato non importa sapere che le banche sono solide”. Per la Presidente di Assofloro, Nada Forbici, il brexit porta con sé instabilità e il timore dell’effetto domino su altri paesi. E il clima di paura non favorisce il cambiamento: i disegni di legge a favore del verde sono da tempo sul tavolo del governo e, in tempi di legge di stabilità, necessitano del coraggio della politica di rinnovare l’economia.

SOFFRIRA’ LO SPUMANTE
Per il Presidente di Coldiretti Lombardia Ettore Prandini, dal day after brexit l’Inghilterra avrà i suoi problemi a cui badare, non essendo autosufficiente dal punto di vista agroalimentare. Però “è un dato di fatto che la Gran Bretagna sia il primo mercato di sbocco dello spumante italiano ed il quarto sbocco estero dei prodotti agroalimentari nazionali Made in Italy con un valore annuale di ben 3,2 miliardi. Solo la Lombardia nel 2015 ha esportato verso il Regno Unito prodotti agroalimentari per oltre 484 milioni di euro” e fa notare che “nonostante la Gran Bretagna sia solo al tredicesimo posto come numero di aziende agricole, è però al sesto posto come beneficiario della politica agricola comune. L’uscita di Londra dalla UE cambierà diversi equilibri, sia politici che economici”.

THE DAY AFTER BREXIT
E gli effetti già si vedono ora: erano già giunti gli avvisi della chiusura dei fondi europei agli inglesi in caso di uscita dall’Unione e ai coordinatori dei progetti è stato cortesemente chiesto di cambiare la sede dei prossimi incontri in caso fossero previsti su suolo britannico. Per Mati è comunque uno scossone che forse ci voleva: è la risposta deve essere rafforzare la sinergia per la crescita. In Europa per favorire le multinazionali vince il prezzo più basso a fronte della qualità: “Ora basta un referendum per atterrare le borse: se non facciamo crescere le aziende, mangeremo titoli?”, si chiede. E conferma la messa in discussione dell’esempio inglese come paradigma nell’ambito del giardinaggio: “Invidio la loro cultura del verde, ma ormai abbiamo capito che i prati all’inglese non sono sostenibili: l’Italia con i suoi 3500km di costa in cui il clima cambia ogni 10km è un enorme laboratorio pedoclimatico, estremamente variegato e complesso. Deve guardare a realtà differenti dall’Inghilterra”.