Dopo gli sconvolgimenti creati da bufere e bombe d’acqua negli scorsi giorni, e le vittime delle esondazioni come le 9 persone nella casa di Casteldaccia, sotto accusa c’è la trascurata manutenzione dei fiumi. Ma dragare ed eliminare la vegetazione è la risposta corretta ad eventi atmosferici estremi? L’abbiamo chiesto a Francesca Oggionni, dottore agronomo, stimata professionista da tempo in prima linea su numerosi cantieri di recupero ambientale del Belpaese. Ecco cosa ci ha risposto…
Dopo il dramma delle vittime e i pesanti danni delle piene, molti politici hanno chiesto di dragare in profondità l’alveo dei fiumi e ripulirli: sarà la soluzione?
Occorre fare attenzione con i fiumi: se draghi troppo, porti via materiale al fiume che a sua volta non lo depositerà sulle spiagge. Va bene togliere nei punti dove c’è un forte accumulo di sedimenti, ma solo lì. Bisogna tenere conto che ciò che fai sul fiume ha conseguenze, perché il sistema fiume è connesso alle montagne come al mare.
Come per la casa abusiva travolta a Casteldaccia su cui pendeva un ordine di demolizione del Comune impugnato dai proprietari?
Certo, il fiume è un elemento del territorio estremamente complesso: se io costruisco una casa su un’ansa di un fiume, non posso pretendere di non correre rischi quando c’è una piena. L’ansa è il primo punto di esondazione: era evidente che la casa abusiva fosse a rischio. A mio avviso in questo caso pesa una doppia responsabilità: quella di non aver abbattuto la casa certo, ma in primis, quella di non aver messo i sigilli all’abitazione. La mancanza di soldi per abbattere non può essere una scusante per la morte delle persone.
Ma a valle del dissesto, cosa si può fare per migliorare le condizioni del paese?
Dopo l’emergenza, occorre una pianificazione di attività sul territorio. L’ambiente è di per sé un valore da cui non possiamo prescindere, perché ne siamo parte: ricordiamoci che noi respiriamo grazie alla fotosintesi.
Il rischio adesso è che si faccia piazza pulita delle piante lungo i fiumi…
Ma è proprio la vegetazione nei fiumi che sostiene le sponde, che con le radici contrasta l’erosione e che funge da filtro rallentando le acque che, una volta saturato il terreno, ruscellano in superficie. Rimuovendo la vegetazione, si toglie sostegno alle ripe, si danneggia l’habitat causando impoverimento ambientale e si manomette l’economia del fiume, oltre a togliere bellezza al territorio.
Cosa bisogna fare allora per evitare i disastri delle piene?
Da alcuni anni si è compreso che le piene dei fiumi non si gestiscono cementando le sponde, ma creando goline. Grazie alle tecniche di ingegneria naturalistica, che utilizzano soluzioni basate sull’utilizzo, come materiale di costruzione, proprio delle piante (alberi, arbusti e piante erbacee sotto forma di talee e semi) insieme ad inerti (pietre, tondame, biostuoie, reti, ecc.), si possono rendere le sponde più resistenti alla forza delle piene sfruttando la capacità delle piante di mitigare l’impatto degli elementi grazie a chioma e radici.
Quindi con piante, pietra e legno si possono proteggere le sponde dall’azione dell’acqua?
Sì, si possono realizzare opere come le palificate vive, le gradonate e le viminate dei quali si possono calcolare matematicamente a monte la tenuta al ribaltamento e allo scivolamento, a vantaggio di tutti gli aspetti in gioco, proteggendo sia gli insediamenti e le attività umane, sia l’ecosistema. Va sottolineato che questa tipologia di opere di rinaturalizzazione dei corsi d’acqua permette di ripristinare gli ambienti fluviali, preservandone anche l’importante funzione di corridoi ecologici per pesci ed animali.
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interventi di ingegneria naturalistica