Schiantati 14 milioni di alberi: ecotombe “inevitabile”. Parla l’esperto

Per la stragrande maggioranza, erano boschi coltivati e pure certificati come sostenibili, quelli che abbiamo visto schiantarsi al suolo come birilli sotto raffiche di vento che hanno soffiato – dati del Congresso nazionale di Selvicoltura che si sta tenendo in questi giorni a Torino – in media a 160km/h, con incredibili picchi di 195km/h, insieme a piogge torrenziali. Secondo le stime di Coldiretti e Federforeste, la perturbazione nel complesso ci è costata una perdita astronomica: abbiamo 14 milioni di alberi in meno. Si poteva fare qualcosa per evitare questa catastrofe? Come mai è successo? La risposta di Antonio Brunori, esperto di boschi e foreste e segretario generale di PEFC (ente di normazione forestale), è scevra da dubbi: date le condizioni, l’ecatombe è stata inevitabile.

Antonio Brunori – PEFC

Abbattuti in un giorno, il 30 ottobre 2018, la quantità di alberi che in Italia si tagliano in un anno intero. Brunori, quanto ci vorrà perché i boschi di Trentino, Veneto e Friuli si rigenerino?
Per riaverli come erano, con tutti i loro equilibri, ci vorranno dai 80 a 100 anni, ma ne “basteranno” 30 perché il manto vegetale torni a ricoprire i declivi e i pendii delle montagne, dice l’esperto. E di fatto il problema più grave sarà questo: anni di terreni denudati perché la montagna, ora, ha perso il suo scudo vegetale. Non ha più gli alberi e arbusti che con le loro radici trattengano il terreno, che con le chiome catturino la neve e si oppongano all’azione degli elementi, che impediscano il dilavamento e il ruscellamento delle acque superficiali. Le zone montane colpite da ora in poi sono a fortissimo rischio idrogeologico di frane e smottamenti.

Bisogna comunque tener presente, sottolinea Brunori, che non si tratta di boschi spontanei, ma di foreste da reddito, piantate per ottenere legname, che peraltro soddisfa in minima parte il mercato italiano – che ne importa l’80% da altri paesi – e che vengono dunque tagliate a cadenza programmata. Per ripiantarle avremo bisogno di un numero di piantine ben al di sopra della capacità dei nostri vivai, che producono al massimo 600mila esemplari all’anno: dovremo con tutta probabilità importarne una buona parte.

Ma l’obiettivo impellente ora, spiega Brunori, è quello di riuscire a raccogliere in fretta i tronchi caduti prima che arrivi la neve, per evitare che comincino a degradarsi. Secondo le stime attuali, solo un decimo dei tronchi schiantati riusciranno ad essere ritirati in tempo. Non solo: una concentrazione così massiccia di alberi caduti porterà con tutta probabilità ad un’esplosione demografica di insetti che se ne nutre, in particolare un coleottero, il bostrico dell’abete rosso, che in questi anni sta creando forti danni alle foreste. 

Peraltro la mole di legno che arriverà sul mercato sarà tale che per qualche anno ne avremo tantissima, quindi verrà venduta a basso prezzo: quando però si esaurirà – dichiara Brunori – i nostri boschi non saranno in grado di fornirne di nuova, e questo per tanto, tanto tempo: la bufera ha infatti abbattuto tagli programmati per i prossimi 25 anni…

Ma se avessimo piantato o manutenuto meglio i nostri boschi – chiede Fiori&Foglie all’esperto – l’effetto sarebbe stato diverso? Anche qui, risposta negativa.
Brunori ci dice che sono stati rasi al suolo anche boschi misti, non solo quelli monospecie e coetanei (ovvero con alberi tutti uguali e della stessa età). Certo, sottolinea l’esperto, ciò che è accaduto ci insegna che nei boschi coltivati va incrementata la biodiversità perché ne aumenta la resilienza: ai tempi in cui sono stati piantati, 50 o 100 anni fa, la selvicoltura non si basava sui criteri moderni. Ma la forza della bufera degli scorsi giorni, con inaspettati venti da sud, avrebbe comunque portato devastazione.

Per cercare di ridurre in futuro danni come questi, l’esperto ha una sola risposta: occorre non adattarsi ma contrastare attivamente il cambiamento climatico. Dal punto di vista gestionale, come sistema paese, un passo avanti però l’abbiamo fatto, dichiara Brunori. Da qualche mese in Italia, spiega, c’è una legge che riunisce e organizza mille norme precedenti in un Testo Unico Forestale, introducendo tutte le ricerche e le metodologie moderne nel settore. La competenza però sarà affidata alle singole regioni e, per rendere la legge operativa, mancano ancora i decreti attuativi.