Una serie di stretti anelli di cemento circondati da pavimento liscio saranno la futura casa di esemplari di Acero e Ginkgo biloba previsti nel rifacimento nella storica Piazza Sant’Agostino in centro a Milano. Lodevole intenzione ma, per quanto riguarda le modalità tecniche, qualcosa forse c’è, da rivedere, almeno secondo i molti professionisti, tra cui arboricoltori di lungo corso, che hanno commentato in massa i lavori in corso postati con grande fierezza dall’Assessore Pierfrancesco Maran su Facebook. Sul tema Fiori&Foglie ha interpellato Mario Carminati, dottore agronomo e riconosciuto esponente del mondo dell’arboricoltura, che ci ha detto la sua, e ha proposto di trasformare l’ambizioso progetto milanese in un caso-scuola.
Grande polemica ha suscitato la foto postata dall’Assessore Pierfrancesco Maran che negli scorsi giorni mostrava la messa a dimora di nuovi alberi in Piazza Sant’Agostino a Milano. Le critiche degli operatori del settore hanno in particolare riguardato lo spazio dove verranno piantati alcuni di essi. Da professionista, Mario, tu cosa ne pensi?
Aiuole sottodimensionate, con rinfianchi di calcestruzzo o con ostacoli perimetrali possono limitare il corretto accrescimento delle radici, rendendo l’albero più dipendente da apporti idrici, meno stabile da adulto e con una aspettativa di vita ridotta. E in tempi di cambiamenti climatici non sono aspetti da sottovalutare.
Pur apprezzando l’intenzione del Comune di Milano di migliorare l’ambiente urbano incrementando il verde, dobbiamo tener presente che l’approccio non può essere solo quantitativo (ndr il progetto ForestaMI prevede di piantare 3 milioni di nuovi alberi entro il 2030). L’aspetto su cui investire prioritariamente, ancor più della fornitura di alberi, è l’adeguata preparazione del sito di piantagione. Gli apparati radicali devono potersi sviluppare correttamente e la quantità di suolo (dimensioni delle aiuole, assenza di ostacoli) deve essere adeguata alla futura crescita dell’albero.
Mario, il cittadino comune è portato a pensare che le radici “scaveranno” trovando il loro spazio nella terra al di sotto, anche se la buca d’impianto è molto piccola: perché questo pensiero è sbagliato?
Le radici sono la parte nascosta e quindi meno conosciuta di un albero: contrariamente alla convinzione comune, hanno in genere uno sviluppo molto superficiale e molto esteso (molto più esteso della proiezione a terra della chioma!). Buona parte dell’apparato radicale di un albero esplora il suolo superficialmente, indicativamente nel primo metro di profondità, ma la profondità delle radici dipende anche e soprattutto dal tipo di suolo: in suoli compatti o asfittici – frequenti in ambiti urbanizzati – le radici saranno più superficiali, poiché le radici respirano e hanno dunque bisogno di ossigeno.
Questa “esplorazione” diventa evidente quando si osservano le radici sollevare le pavimentazioni: un danno da evitare o almeno limitare, se possibile, partendo proprio dal sito di piantagione. Il suolo a disposizione delle radici deve quindi avere estensione ampia (in funzione della specie arborea prescelta) e relativamente superficiale. Se questo non accade, le radici tendono a “spiralizzarsi” (come è stato spiegato anche nei commenti ai post dell’Assessore), strozzando e mettendo a rischio la futura stabilità dell’albero.
Le radici di un albero peraltro non sono tutte uguali e assolvono a funzioni diverse. Ci sono radici più profonde che assicurano un certo tipo di ancoraggio e che assorbono acqua più in profondità (dove il suolo lo permette), altre sono deputate alla ricerca di sali minerali, altre ancora alle relazioni con altri alberi ed altri organismi.
E’ così importante il luogo dove si pianta un albero?
E’ preferibile investire più denaro per un’adeguata preparazione del sito di impianto, rispetto a quanto se ne voglia spendere per l’acquisto di piante. A parità di condizioni e di requisiti di qualità vivaistica, un giovane albero messo a dimora in un sito adeguato fornirà migliori risultati (in termini di crescita e di efficienza complessiva) di un albero acquistato con maggiori dimensioni commerciali, ma collocato in un suolo inospitale e non adeguatamente preparato. In buche di piccole dimensioni si possono piantare tutt’al più arbusti o Hibiscus ad alberello.
Ma a questo punto non sarebbe meglio piantare in città alberi già abbastanza grandi, invece che alberelli giovani?
No, Daniela. A parte casi particolari, è meglio mettere a dimora piante giovani piuttosto che già grandi in nome del cosiddetto “pronto effetto”. Gli alberi giovani costano meno e crescono meglio, anche perché la zollatura di alberi sopra una certa dimensione – diciamo sopra circonferenza tronco 16-18 – comporta via via maggiore difficoltà per l’albero nel ricostruire un apparato radicale completo.
Purtroppo nelle nostre città, ricche di storia ma povere di verde, non è facile ricavare vasti spazi per le piante...
E’ chiaro: in città spesso si devono piantare alberi anche in condizioni sub-ottimali. Bisogna quindi cercare di farlo al meglio essendo però consapevoli che in questi casi si tratta di una forzatura, cioè di una vera e propria coltivazione. Quindi accettiamo il fatto che gli alberi meno fortunati – posti in ambienti estremi come le strade e i marciapiedi – abbiano un diverso ciclo di vita rispetto agli alberi che crescono nei parchi o a quelli nelle condizioni migliori, piantati giovanissimi (1-2 anni di età) nei veri boschi urbani. Al professionista ed agli operatori il compito di fare in modo che, in ogni caso, alla fine del loro ciclo, il bilancio costi/benefici sia più basso possibile, dia cioè molti vantaggi rispetto ai costi.
Se tu potessi rivolgerti direttamente al Comune di Milano, su questo tema cosa auspicheresti?
Farei i miei complimenti all’Assessore Maran. Chiederei però maggiore controllo da parte dei tecnici e adeguata multidisciplinarietà nei gruppi di progettazione. Chiederei infine di prevedere, oltre al budget per le piantagioni, l’altrettanto importante budget per la successiva gestione e manutenzione delle piante.
Ritengo peraltro che Milano abbia risorse e competenze per fare scuola, anche nelle tecniche di piantagione in ambienti urbani “estremi”. Anzi, faccio una proposta: ForestaMI potrebbe costituire un caso-studio, un’occasione felice di ricerca – coinvolgendo i tecnici, il Politecnico di Milano, la Facoltà di Agraria e S.I.A. (Società Italiana di Arboricoltura), che può sfociare in un corposo Manuale che illustri situazioni pratiche e problematiche risolte nel difficile ambito della riforestazione urbana. L’esempio milanese farebbe così da guida ad altre amministrazioni che intendono piantare alberi per riforestare le loro città.