Contemporaneamente alle sfilate ufficiali della settimana della moda, a Milano è possibile assistere alla presentazione delle collezioni di diverse realtà imprenditoriali italiane. Domenica a Palazzo Visconti ho partecipato all’evento che Malìparmi (www.maliparmi.it) ha organizzato per presentare ‘Garden of Diversity’, la sua collezione Primavera/Estate 2011. In un piacevole e rilassato incontro, ho potuto conoscere le due donne entusiaste che hanno dato vita a questa bella realtà: Annalisa Paresi, presidente di Malìparmi e Silvia Bisconti, direttore artistico del marchio.
Nel cuore di Milano, in una piacevole atmosfera rarefatta, con una suggestiva ambientazione ‘botanica’ creata dall’art-director Sergio Colantuoni, scopro per prima cosa gli accessori della collezione. Splendide pochette intrecciate e decorate da fiori in tinta, mules ricamate ovvero femminilissime ciabattine dai ricami preziosi, borse in pelle e tessuto stampato, ballerine e le famose infrabijoux di Malìparmi proposte con un tacco sottile, stupende collane e spille in una composizione di fiori dai colori caldi e naturali.
Gli accessori spuntano letteralmente dalla terra o sbocciano dalle piante: nandine, aspidistra, ma anche composizioni aromatiche di salvia e mentuccia che profumano piacevolmente la saletta, l’impressione è quella di trovarsi in un giardino.
Nel salone principale, in un allestimento curato dal regista Marco Pozzi, sono esposti gli abiti stampati, il denim elegante e prezioso, i soprabiti di broccato. I fiori sono ovunque, ricamati, stampati, tridimensionali o dipinti, nello stile raffinatissimo che da sempre contraddistingue il marchio. Oltre ad essere esposti, abiti e accessori sono realmente indossati da ragazze-attrici e dalle dipendenti di Malìparmi, dando modo di verificare la vestibilità ed il comfort oltre che l’eleganza, a dimostrazione che il marchio è rivolto a donne vere. Un interessantissimo spazio è dedicato al progetto “Il tessuto della memoria”. Pochi capi dalla linea semplicissima, un abito-tunica, una gonna e un top, sono realizzati utilizzando strisce di tessuti ‘storici’ degli archivi Malìparmi, unite a formare un nuovo tessuto i cui colori richiamano, in un raffinato mix di patterns, i colori della terra, dei fiori e delle foglie: assolutamente stupendi!
Signora Paresi, cominciamo dalle radici di Malìparmi, che affondano nel nord-est d’Italia e in una storia familiare: ce la vuole raccontare?
Sì, è un’azienda tuttora familiare che nasce negli anni ’70 da un’idea di mia madre, una donna speciale, creativa ed eccentrica, un personaggio particolare che ci ha lasciato 3 anni fa ma che fino all’ultimo ha seguito con grande passione i nostri progressi. Ha iniziato con i bijoux e gli accessori. Io ero una ragazzina ma me la ricordo china su un tavolinetto sotto una luce forte mentre creava gli orecchini o costruiva le prime borse, interamente fatte a mano da lei. La sua passione per i viaggi l’ha portata in Oriente, dove ha scoperto un mondo di artigianalità importante. Il fatto di lavorare con questi paesi è quindi nel DNA della nostra azienda e non è una strategia per contenere i costi. Questi paesi ci danno l’opportunità di avere delle tecniche speciali e preziose.
Oggi si parla molto di moda etica, ecosostenibile, insomma la cosiddetta eco-fashion, un termine che in realtà accomuna sfaccettature anche molto diverse fra loro: come si pone Malìparmi in questo contesto?
Malìparmi è sempre stata attenta a queste cose e adesso stiamo cercando di esserlo sempre di più. Ad esempio abbiamo in Oriente 600 persone che ricamano per noi, con cui abbiamo un commovente rapporto: interi villaggi a Bali lavorano per Maliparmi, persone verso le quali abbiamo una seria responsabilità, al di là del fatto che il mercato ci richieda o meno un prodotto ricamato, noi abbiamo la responsabilità di farli lavorare sempre. Mia madre era innamorata di Bali e dei suoi abitanti, persone dolcissime, estremamente positive e che possiedono una manualità meravigliosa, qualunque cosa toccano, da una composizione di fiori, ad un ricamo, ad un piatto, diventa una meraviglia.
Signora Bisconti, i tessuti da voi utilizzati sono realizzati da un vostro disegno o sono creazioni locali?
Le stampe sono completamente create dal vero. Si parte da fotografie di fiori, sassi, cose trovate in natura, assemblate e tecnologicamente modificate al computer e poi stampate con tecniche tutte particolari. Con i nostri abiti si indossano anche dei pezzi di ricerca: vede questo tessuto? Ho trovato l’originale in un mercato in India, l’ho rielaborato al computer e poi l’ho fatto realizzare in Italia con tecniche tutte italiane. C’è anche uno scambio culturale, cose progettate qui e realizzate in Oriente grazie alla loro manualità, ma anche cose realizzate in Italia da disegni trovati in Oriente. Tutto questo sempre con un grande rispetto reciproco. Io sono affascinata dalle artigianalità locali che stanno dietro ad una borsa o ad una scarpa ricamata: a Bali sono le donne che ricamano mentre in India il ricamo eseguito con perline è un’abilità tutta maschile.
Come nasce l’idea del Tessuto della Memoria?
Il progetto del Tessuto della Memoria è nato dalla voglia di riutilizzare materiali che per logiche aziendali e commerciali non venivano più impiegati. Ad esempio, dopo 6 mesi il tessuto utilizzato per una collezione non viene più impiegato. Ne è scaturito un progetto che ha fatto di questi materiali un punto di forza. Il Tessuto della Memoria è fatto assemblando strisce di vecchi tessuti con i quali realizziamo pochi capi dalle linee molto pulite e molto semplici. Oltre al riutilizzo, c’è anche un’attenzione particolare per gli imballaggi. Ogni capo viene ripiegato e confezionato in sacchettini quadrati di stoffa, grandi solo 20 cm. Quindi una piccola scatola è riempita con 40 di questi sacchetti, risparmiando spazio prezioso nella spedizione ma anche evitando uno spreco di materiali solitamente usati per gli imballaggi. Un progetto piccolo ma che ci consente di sperimentare nuove soluzioni.
La nuova collezione si chiama “Garden of Diversity”: qual è il suo significato?
Il Giardino di diversità è una tappa di un percorso. Per me è importantissimo non considerare le collezioni come dei progetti fini a se stessi, quindi legati ad una moda del momento. Il Giardino di diversità è il punto di arrivo di un discorso iniziato anni fa, che era la voglia assoluta di fare un luogo simbolico e surreale dove si celebrassero le differenze, intese come possibilità di fare cose differenti, simbolicamente rappresentate dai fiori ma soprattutto, come diceva Proust “con la voglia non di cercare nuove terre ma di guardarle con occhi diversi“. Al posto dell’affannosa ricerca di cose sempre nuove, impariamo invece a guardare con occhi nuovi quelle che già abbiamo.
Luisella Rosa