Sta succedendo in Egitto: si piantano alberi per ridare vita al deserto. Ma come si affronta il problema della mancanza d’acqua? Grazie ad un impianto di irrigazione che porta alle piante l’acqua di scarto delle città prodotta negli impianti di depurazione. Costoso? Non molto, considerato che l’acqua viene trattata quel tanto che basta per poterla usare per irrigare gli alberi, ma non abbastanza per bagnare ortaggi destinati all’alimentazione. La tecnica non è nuova, Israele, come anche l’Arabia Saudita, ne sta sperimentando di simili da anni con successo riuscendo a piantare ulivi e palme nel deserto del Negev.
Del resto sono stati scoperti fossili che attestano che molti grandi deserti secoli fa erano immense foreste che ospitavano vita. Queste tecniche che prevedono la messa a dimora di alberi di specie adatte a sopportare le difficili condizioni di sopravvivenza tipiche di questo ambiente così estremo in un certo senso riporterebbero indietro l’orologio dell’evoluzione del pianeta.
Se il numero di alberi diventasse imponente, potrebbe influire direttamente sul clima delle regioni desertiche, portando piogge e umidità, evitando il dilavamento del suolo protetto dalle chiome, contrastando l’avanzamento della sabbia grazie alle radici, nutrendo la terra grazie al deposito nel tempo di residui vegetali. Va anche considerato un altro vantaggio: gli alberi nel deserto crescono in fretta a causa del sole caldissimo e dell’assenza di parassiti.
L’idea è sicuramente intrigante perché renderebbe il deserto un ambiente sfruttabile e persino vivibile grazie alla presenza dell’acqua. Ma abbiamo imparato che la natura agisce in direzioni che non possiamo sempre prevedere: la colonizzazione verde delle zone aride impatterebbe pesantemente su flora e fauna tipici di questi ambienti e inevitabilmente avrebbe una forte ricaduta sulle popolazioni che hanno eletto il deserto a propria casa e le sue ferree leggi a stile di vita.