Tre donne dell’UDI (Unione Donne Italiane) furono le fautrici della festa della donna dopo la fine della guerra. Sospesa durante il Fascismo, vide la luce già precedentemente, nel 1922, ma il suo vero battesimo avvenne l’8 marzo del ’46: due giorni dopo, le donne del Belpaese votarono per la prima volta. Ma l’usanza di regalare una mimosa l’8 marzo non è mai sparita del tutto. E c’è stato un tempo in cui non era un dono degli uomini per le donne, come accade ora nella sua versione più commerciale. Era invece qualcosa di ben diverso, un presente che le donne facevano ad altre donne, soprattutto nei luoghi di lavoro.
Anticamente in fabbrica veniva portato un grande ramo, e chi voleva, ne prendeva un pezzetto e lo regalava ad una collega, ad una amica. Era un segno di sorellanza, di vicinanza, di riconoscimento. Il fiore di mimosa infatti non è composto da un’unica corolla. Si presenta invece come un insieme di tanti capolini sferici disposti sui rametti. Non è mai un fiore solo, è un fiore “collettivo”, si potrebbe dire, composto, cioè, da tante individualità, tanti pezzetti singoli che, insieme, compongono una fronda fiorita morbida e profumata come una carezza.
La mimosa dunque portava con sé un messaggio vitale, che noi donne siamo tutte sorelle: condividiamo sogni, attese e speranze. La mimosa ci ricorda l’importanza delle altre donne nella nostra vita, che dovremmo tenere care, invece di competere tra noi per primeggiare o per conquistare l’attenzione dell’universo maschile, capace, molto più di noi, di fare squadra.