Nasce il vino marino dell’Isola d’Elba

Altro che pesci: in quella nassa c’è dell’uva…! In effetti è così che nasce “Nesos”, un vino che nasce da un remoto quanto dimenticato legame con il mare. Seguendo le orme del tempo, studiosi e viticoltori hanno sperimentato oggi l’antico metodo di origine greca di cui ci sono tracce nei ritrovamenti dei resti storici di navi affondate intorno all’Isola d’Elba. Sembra che, in quei tempi remoti, l’uva appena raccolta venisse fatta “maturare” in mare: dagli scritti di Plinio il Vecchio si desume che il vino dell’Isola di Chio così prodotto fosse particolarmente pregiato.

Ma quali vantaggi poteva dare il contatto degli acini con l’acqua salata? L’unico modo per saperlo era provare: è stato così che l’azienda agricola Arrighi, lo studioso Attilio Scienza e l’Università di Pisa si sono cimentati nell’esperimento del “vino marino”, utilizzando una varietà di uva bianca coltivata nell’Isola d’Elba ma originaria dell’isola di Chio, l’uva Ansonica, dalla buccia particolarmente resistente.

L’ESPERIMENTO DEL VINO MARINO
Nel 2018, l’uva fresca destinata al curioso esperimento, ben controllata in modo che fosse perfettamente integra, è stata inserita in nasse artigianali di fattura sarda, pensate per dare spazio alla frutta senza schiacciarla. Le nasse sono state affondate a 7 metri di profondità e fissate con una corda al fondo, in modo da agevolare lo scorrimento dell’acqua del mare attraverso i grappoli. Le uve sono rimaste in mare per 5 giorni. Ritirate le nasse, l’uva è stata messa a seccare al sole, ed eliminati i raspi, posta a macerare con tutta la buccia in enormi orci di terracotta per i mesi necessari.

Quale è stato l’effetto del mare sull’uva? Dalle analisi è emerso (appunto!) che le uve dopo il bagno in mare riportano una doppia concentrazione di fenoli, mentre l’azione antiossidante del sale ha disinfettato i grappoli in modo da non richiedere l’uso di solfiti. Il mare ha inoltre portato via buona parte della pruina, la sostanza che la vite (come alcune altre piante) produce per proteggersi dai raggi del sole, ma che rallenta il processo di asciugatura.

Dall’esperimento, presentato nelle scorse settimane all’Agenzia Toscana di Promozione Turistica, sono infine risultate 40 bottiglie di un vino parente stretto di quello che viaggiava per mare 2.500 anni fa. Un vino decisamente particolare, che molti sommelier non vedono l’ora di gustare.

Chissà se avrà delle note gustative in comune con il Vino d’Oro dei Dogi che sopravvive all’Acqua Alta? 😉

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