Quel giorno di settembre, quando il mio ragazzo si presentò con una splendida orchidea in mano, pensai che quella pianta aveva le stesse esigenze di una coppia. Affetto, cure amorevoli, e soprattutto tanta pazienza.
Passai il primo mese in estasi. Guardavo quello splendido fiore bianco con venature violacee. La innaffiavo, la concimavo, mi assicuravo che avesse abbastanza luce. Era vero amore.
E come tutti i veri amori durò il tempo di una stagione.
La mia orchidea, infatti, decise improvvisamente di sfiorire. Sopra la mia scrivania rossa svettavano solo due lunghi steli spogli.
Stavo facendo le pulizie quando il raptus omicida si impossessò di me.
Guardai quella che una volta era stata una bella pianta e corsi a metterla in balcone. Era gennaio, nebbia fitta e temperatura nettamente sotto lo zero. Vento e neve fecero il resto. Ben presto della mia orchidea rimase solo il vasetto di plastica azzurro.
Alcuni dicono si sia trattato di omicidio, altri di suicidio. Per me fu solo eutanasia.
Una cosa però è certa: non ho più ricevuto piante in regalo.
(Per chi fosse interessato: a differenza dell’orchidea, il mio ragazzo ed io siamo riusciti a sopravvivere all’inverno).
Anche voi avete acquistato piante con forti tendenze suicide?
Oppure sono morte di morte violenta?
Qualcuno di voi è riuscito anche a far seccare una pianta grassa?
Raccontatelo sul nostro blog!
Su Fiori&Foglie pubblico questo delizioso pezzo di Valentina Casciaroli per ricordarci che il nostro rapporto con le piante non è sempre “rose e fiori”. Sicuramente Valentina non è l’unica ad aver sperimentato le famosissime “Orchidee suicide” (o anche le grasse, i cespugli, le margherite e tante tante altre amiche verdi…): e adesso tocca a voi: raccontateci i vostri più turpi delitti vegetali!